Stavo guidando ormai da molti km ed avevo assoluta necessità di fermarmi e fare due passi, un lungo rettilineo di una strada provinciale circondato da spazi per parcheggiare era proprio quello che ci voleva.
Inizio a camminare e noto una grande villa che sembra essere stata lasciata al giudizio del tempo, per chi come me ama l'urbex e le storie non raccontate che questi luoghi emanano viene naturale avvicinarsi ed osservarla.
Della villa non so assolutamente niente se non il nome scritto in ferro sul cancello principale ed al quale sono molto legato, così si chiamava mia madre.
E' tutto aperto ed in compagnia del mio più fedele compagno di esplorazioni, il rispetto, decido di dare un occhiata non senza aver prima chiesto con voce robusta se ci fosse qualcuno.
L'interno è fotograficamente attraente ed anche se i mobili e le altre cose sono accatastate come in un disordinato bazar ed il tempo,come sempre, per scegliere l'inquadratura non è molto, inizio a scattare.
Per chi oltre all'essenza ed alla storia del luogo vuole raccontare per immagini non è semplice trovare inquadrature pulite, dal caos qualcosa di non voluto nel frame spunta sempre ed allora viene facile pensare "sempre sia lodato chi Photoshop ha inventato".
Attraversare i suo spazi è abbastanza indaginoso, oltre all'effetto magazzino nelle stanze sono evidenti i segni di set da ripresa realizzati da qualche altro viandante dell'abbandono che, purtroppo, interpreta un mantra dell'urbex "lasciare solo impronte" in maniera molto elastica. Io che per scelta non tocco e non sposto niente mi accontento e cerco di raccontare un luogo così come l'ho trovato e lo lascio come se non ci fossi mai stato.
Non avendo alcun indizio è difficile immaginarne la storia anche se le sue stanze, i suoi affreschi e qualche mobile raccontino di esistenze agiate ma nulla di più.
L'esplorazione è come sempre breve, riprendo il cammino portandomi dietro le buone sensazioni che la villa del ventaglio mi ha inaspettatamente regalato.
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