La profonda oscurità, le lame di luce che la trafiggono, i colori del magnifico soffitto dorato che improvvisamente emergono e ti osservano, il silenzio lacerato soltanto dalle voci dei passanti provenienti
dal corso principale del paese sul quale si affaccia il palazzo, il rispetto assoluto.
Questi sono i miei compagni mentre percorro la storia e l'essenza di una capsula del tempo chiamata da qualcuno il Palazzo d'Oro.
In questa residenza nobiliare di fine ottocento il tempo si è fermato pur mostrando il suo inarrestabile divenire, ogni stanza ed ogni angolo invitano alla sosta ed a lasciar vagare la mente
immaginando il dipanarsi della vita di coloro che, sotto gli stupendi soffitti affrescati,
dentro le austere camere o nei modesti spazi per i servizi, riempirono di suoni questo luogo ormai immerso nel tramonto.
Il palazzo è molto grande, le condizioni in cui versa e la difficoltà nel trovare la luce "giusta" rendono il suo racconto per immagini veramente molto difficile ma ho la sensazione
che anche la macchina fotografica abbia capito dove siamo e cerchi di dare il meglio di se.
Non mi importa molto cosa uscirà dal sensore quello che conta è cosa resterà impresso nel mio spirito e che, sono certo, non mi abbandonerà facilmente.
"Ciao ci vediamo nel pomeriggio" dice ridendo una giovane voce femminile mentre chiacchera con l'amica sul marciapiede a pochi centimetri dalla finestra, con le persiane corrose ma chiuse, dietro la quale attonito osservo l'anima del palazzo d'oro e scruto, non visto, il mondo.
E' giunta inderogabile l'ora di andare.
Lentamente e con un pò di malinconia sistemo le mie cose nello zaino, allaccio i vestiti che con fatica respingono il freddo e saluto il Palazzo d'Oro come se fosse un amico che non vedrò mai più.