All’inizio non capisco perché mi trovo su questa strada, che mi appare sbiadita e poco nitida, quando la  vescica mi suggerisce di fermarmi e darle ascolto. Oltrepasso dei grossi cespugli di rovi e mi ritrovo davanti un vecchio e cadente edificio ormai quasi nascosto dalla vegetazione…azz questo luogo non mi è nuovo.
Ogni tanto nelle pomeridiane gite domenicali fuori porta i miei genitori si fermavano qua per curiosare e ricordo ancora le raccomandazioni di mia madre prima di entrare: “Non toccare niente e non perderti”.
La cascina dell’antiquario un luogo allora affascinante per me, stracolmo di oggetti, mobili e diavolerie di ogni tipo che praticamente lo rendevano un intricatissimo labirinto che si snodava tra passato e presente e rendeva facile il mio “perdersi” rincorrendo fantasie, inventando storie fino a quando non sentivo il fatidico: “Dove sei? Dobbiamo andare”.
Addentrarsi in quello che resta della cascina dell’antiquario non è semplice, il pavimento è praticamente diventato una specie di melma dove gli scarponcini affondano e si perdono nelle sensuali e sinuose crepe della terra, percorro i suoi spazi circondato da flash di immagini e ricordi, rivedendo gli oggetti davanti ai quali sostavo ed ovviamente accarezzavo. Benedetta fu la minzione…
Risalgo in auto e guidando verso casa penso a come potrò raccontare questo luogo ormai perso nel tempo e gli offuscati ricordi che mi sono apparsi, mi sa proprio che questa volta, sedendomi davanti al PC ed osservando le immagini aprirò Photoshop sussurrando: “Si si mamma non tocco niente…“.
Una finestra che sbatte per il forte vento interrompe la mia esplorazione, apro gli occhi ed ho il buio intorno a me e mi ritrovo come sospeso tra sogno, realtà e fantasia.